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Che cosa resterà delle nostre foto su Instagram?

Culture. Eat it

29 Luglio 2020

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Che cosa resterà delle nostre foto su Instagram?

di Sara Cartelli

È una domanda che mi faccio spesso ultimamente.
Che ne sarà di noi, dei nostri pensieri, delle fotografie che popolano i nostri profili Instagram?

Resteranno o si smaterializzeranno come tutto ciò che avevamo condiviso su MySpace?

Questo è stato l’anno della caduta di molti influencer. Non della loro fine, badate bene. Saremo sempre influenzati da qualcuno. Lo eravamo anche prima di Instagram e internet, quando tutti andavano in giro con i jeans con la scritta RICH stampata sul deretano.

Però questo 2020 ha messo in evidenza la fragilità di un sistema che si basa sulla fiducia, ma che molto spesso tradisce quella stessa fiducia per insicurezza o egocentrismo. C’è chi viene scoperto e chi non viene beccato mai, buon per lui/lei.

La regola è quella dei numeri. Che dovrebbero essere tangibili, concreti. E invece sono spesso fallati, frutto di magheggi, manipolazioni, scambi di favori.

La sensazione è quella di trovarsi in un sistema feudale piramidale. Vassalli, valvassori, valvassini, servi della gleba, li ricordate? Un sistema che però all’epoca di Instagram, del “se ti impegni ce la fai” è scalabile. Io, Sara, serva della gleba potrei diventare un vassallo. Forse. Il mio ego potrebbe ringraziare.

Ma provare la scalata cosa genera? Una cosa fondamentalmente. La ricerca spasmodica del consenso.

Tutti i mezzi possibili

Bot, gruppi di scambio like e commenti, fatti notare dagli influencer, fai foto instagrammabili (che parola orrenda), cavalca i trend topic, dialoga con i tuoi follower: “a che ora pubblico?”, “vi piace questo?”. Possono essere leciti o meno. Etici o molto poco etici. Però puntano tutti alla stessa cosa. Sono tutti mezzi per ottenere approvazione. Far crescere i numeri. Viviamo in perenne campagna elettorale, con un Rocco Casalino dietro di noi che ci dice “puoi fare meglio, di più”. Strategia. Piano editoriale. Pubblica. Fai le stories. Esserci sempre. Ansia. Dov’è finito il divertimento?

La palette

La palette, la dannata palette. Lo spiegone sulla palette colore viene ripetuto sempre uguale. È uno di quei temi complessi che vengono semplificati. Troppo. Amo i colori e le armonie cromatiche, ma l’affair palette mi pare sia diventato più un “mettiamoci dei paletti”. Conosco gente che ha dovuto aprire un altro profilo perché il verde non rientrava nel suo feed e mi pare assurdamente assurdo. Fateci caso, c’è una quantità crescente di profili meravigliosamente armonici. Hanno tutti imparato come si fa. Però, a meno che voi non siate un brand o abbiate davvero un’identità stilistica precisa (sì esistono le eccezioni), non potrete mai essere definiti da 3 colori 3. I colori, la scelta dei toni, le ombre, la cosiddetta “temperatura” sono dei mezzi espressivi. Tantissimi fotografi professionisti hanno dei profili con immagini nettamente diverse le une dalle altre. Perché? Perché ogni progetto ha un concetto alla base e vuole trasmettere qualcosa di unico. Spesso le strategie di marketing vengono applicate come macchine su campi da arare, senza discriminazioni, rendendo tutto incredibilmente armonico sì, ma dannatamente piatto. Così facendo ci precludiamo delle possibilità, perché smettiamo di guardare il mondo con occhi curiosi e fotografiamo solo quello che è giusto in base alle regole estetiche stabilite da Instagram. Pensateci bene, come ragiona il vostro occhio adesso? Fotografate tutto ciò che cattura la vostra attenzione o solo ciò che è instagrammabile? Inizio a fare mea culpa io. Spesso mi accorgo di non riuscire a guardare oltre. Ci sto dentro con tutte le scarpe. E mi detesto per questo. Il mondo non è armonico e no, non lo siamo nemmeno noi. Compiti per le vacanze: spezzare la catena.

Siamo tutti artisti?

Instagram è la patria degli artisti o di coloro che si definiscono tali. Ma lo sono tutti davvero? Per me la discriminante è semplicissima. Un artista non chiederebbe mai ai suoi follower l’autorizzazione per fare/dire qualcosa. Quella, ritorniamo sempre al primo punto, è ricerca del consenso. L’artista in quanto tale non è mosso dal plauso del pubblico ma da un’esigenza creativa o espressiva. Certo, il desiderio che il suo lavoro venga capito e apprezzato è innegabile, ma ciò non va di pari passo con la ricerca della popolarità. Vi immaginate Van Gogh che alza la mano chiedendo quale punta di giallo utilizzare per i girasoli? Ecco, io no.

Voglio fermarmi, tornare a respirare.
E l’unica cosa che posso fare è chiedermi: che cosa resterà?
Il consenso? Vero o falso che sia?
Diremo ai nostri nipoti che alla loro età avevamo centinaia di like e migliaia di follower?

Io non lo so cosa resterà. Però so cosa mi resterà.

Non le foto, non i miei pensieri sconclusionati, non la voglia di esprimermi in qualche modo per dare senso al casino che ho dentro la testa, non i like, non tutto il cortocircuito in cui nel bene o nel male nuotiamo anche noi.

Resteranno le relazioni.

I rapporti con gli estranei. La possibilità incredibile di incontrare persone che non avrei mai potuto incontrare. La possibilità di allargare la mia fetta di mondo, che da quando sono tornata a vivere a Spilimbergo mi è sembrata stringersi sempre di più. Il confronto con chi la pensa diversamente da me. Le pacche sulle spalle arrivate all’improvviso quando mi sentivo giù. E credetemi me ne sono arrivate tantissime, in maniera del tutto inconsapevole. Riderò ancora per i “sono caduta sui peni degli squali!” quando giocate al 50:50 e mi ricorderò che qualche buon’anima si è sentita toccata da ciò che dicevo o facevo.

Non so cosa diventeremo. Se mai diventeremo vassalli. Tutti si scordano sempre una cosa: essere piccoli (nei numeri) ti dà la possibilità di fare e dire ciò che vuoi. Di leggere i libri che vuoi leggere, fare le ricette che vuoi fare, di prendere i pensieri e plasmarli a tuo piacimento (come quasto pippone che vi sto sparando ora), di sperimentare, rischiare.

Se Instagram si smaterializzasse domani resterebbe il direct di The Eat Culture, tutto nella mia testa.
E mi manchereste cavolo, eccome se mi manchereste.

Photos: Sara Cartelli

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Autore

Sara Cartelli

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Sara Cartelli

biografia:

Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.

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