Culture. Eat it
9 Settembre 2020
Va bene. Sto bene. Sì, va tutto bene.
2020: l’anno del “come stai?”
Tutto bene. Ma bene cos’è? Una questione di qualità? Del tempo, dell’amore, del lavoro o della salute? O una formalità? Perché va detto così, per non tediare gli altri, per non sentirsi a disagio dentro ai propri problemi che sembrano sempre inutili, troppo piccoli, banali. Per non sentirsi dire “ma di che ti lamenti?”
È il 1986. Ho un anno di vita. I CCCP pubblicano 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età, il loro primo album.
È il 2020. Ho 35 anni. E non so dirvi come ci sia arrivata ai CCCP o quando. Probabilmente per una serie di casualità. È settembre dell’anno 2020, YouTube mi consiglia “Io sto bene” e io gli do retta.
È una questione di qualità
è una questione di qualità, è una questione di qualità
O una formalità, non ricordo più bene, una formalità
Come decidere di tagliarsi i capelli
Di eliminare il caffè o le sigarette
Di farla finita con qualcuno o qualcosa
Una formalità, una formalità, una formalità
O una questione di qualità
Io sto bene, io sto male, io sto bene, io sto male
Io sto bene, io sto male, ma è una formalità
Chissà quali sono le qualità dello stare bene o dello stare male. Io non le ho mai comprese.
Per me è sempre stata una questione di sensazioni. Di sentire. Ma come lo spieghi? Le parole alle volte innalzano, ma quando si tratta di sentimenti limitano. È per questo che tutti si ostinano a descriverli.
Lo stato delle cose qual è? Magari sto uno schifo. Perché? Non lo so spiegare. O per dirla come un’altra canzone dei CCCP, Emilia Paranoica, “aspetto un’emozione sempre più indefinibile”.
Dall’esterno è facile razionalizzare, in base al proprio concetto di qualità. “Dovresti essere felice”, “c’è di peggio”, “non ti rendi conto di quello che hai”. Affermazioni tipiche di chi pensa di poterti aiutare facendoti rinsavire. È come se conoscessero la geografia del tuo sentire. Come se esistesse una cartina, una sorta di Google Maps pronto a guidarti dallo stato d’animo sbagliato a quello giusto. Ma l’unica cosa sbagliata davvero è quella di sentirsi inadeguati nella propria sofferenza. Il benaltrismo del dolore. Se c’è qualcuno che sta peggio di te, non ti devi lamentare. Devi seguire la strada, oltre a ricomporre i tuoi pezzi. Da fuori la tua vita sembra perfetta, non ti è concesso dare spazio alla negatività. Processo di semplificazione. Sei in salute, hai un buon lavoro, una bella famiglia, state tutti bene. Devi essere appagato, dopotutto il tuo schema è perfetto. Crack. Cortocircuito.
Come stai? Io sto bene. Ma è una formalità.
La nostra società combatte i sentimenti negativi col positivismo “perché tu puoi farcela!”. Sbianca i tuoi sentimenti, dagli la forma che vuoi. Sii la persona che vuoi essere! Fine spot pubblicitario.
Si parla spesso di dittatura della bellezza, ma esiste anche una dittatura subdola delle emozioni che ci vuole perennemente positivi, energici, grati alla vita. Che scatena irrimediabilmente il senso di colpa e la frustrazione se non lo siamo. È come vivere perennemente dentro a uno spot pubblicitario dove tutti sono felici e, se non lo sono, possono trasformare la loro condizione grazie a un prodotto, un oggetto materiale. Peccato non sia così.
Produci, consuma, crepa – Morire, CCCP
Siamo guidati alla strada verso la felicità. Ma se prima, negli anni del boom economico, questa era rappresentata dal possesso (lavoro, compro, sono appagato), adesso è diventata intangibile e immateriale. Alcuni si prodigano anche per condurti lì, a città felicità, e sanno anche come fare (se segui questi semplici consigli), ma nessuno sa dirti esattamente cosa troverai quando arriverai.
Non esiste una spugna magica per cancellare l’infelicità e neppure un prodotto.
Non esiste una strada, semplicemente perché spesso le strade sono molte.
Non esiste una possibilità, ma un universo di possibili combinazioni.
Esistono rabbia, dolore, frustrazione, apatia, tristezza. Esiste l’infelicità, è tangibile, fa parte del nostro percorso esistenziale. E si può vivere dentro ai quei sentimenti lì, si possono analizzare al microscopio, comprenderli. Si può accettare di non essere necessariamente felici, senza rimuovere tutto, senza misurarne i gradi, senza dover fare i conti con ciò che agli occhi degli altri dovrebbe renderci, non si sa bene per quale motivo, necessariamente felici. Senza sentirsi sbagliati, senza far finta di, senza formalità.
1986 – 2020
Il mondo è cambiato, le emozioni no. 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi potrebbe essere stato scritto oggi, seppur con qualche differenza. La musica ci aiuta spesso a fare i conti con il nostro senso di inadeguatezza. E questo disco lo fa benissimo. Se vi state ponendo delle domande, se state vivendo un momento no, se pensate che il vostro sentire sia tutto sbagliato, questo è l’album giusto per voi. Su come si affronta un album così se non siete abituati a questo genere di suono, beh quella è un’altra storia. Il mio consiglio è dategli tempo e datevi tempo.
E voi cosa volete? Di che cosa vi fate?
Dov’è la vostra pena qual è il vostro problema?
Perché vi batte il cuore per chi vi batte il cuore?
Meglio un medicinale ad una storia infernale?
Meglio giornate inerti o dei capelli verdi?
Eppur tutto va bene, va proprio tutto bene
Eppur tutto va bene, va proprio tutto bene
Eppur tutto va bene, va proprio tutto bene
Manca un po’ l’appetito e il Valium per dormire l’ho finito.
Photos: Sara Cartelli
Autore
biografia:
Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.