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23 Maggio 2018

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Illustrare Wilde: i lavori di Aubrey Vincent Beardsley

di Sara Cartelli

Oscar Wilde è stata l’unica rockstar a non essere una rockstar. La prima volta che me ne resi conto ero solo una ragazzina in visita al Père Lachaise. Come tutte le ragazzine volevo vedere cosa rimaneva della tomba di Jim Morrison e, invece, rimasi folgorata da quella di Wilde. Imponente, faraonica e coperta da un enorme vetro era circondata da persone sognanti e quasi piangenti, cosparsa di sigarette e bigliettini di ringraziamento.

Fu il primo momento in cui capii quanto il nostro operato possa smuovere le coscienze e quanta responsabilità ci sia nelle parole che decidiamo di pronunciare.

Oscar Wilde era una rockstar. E non solo per il suo modo di scrivere, ma anche per come aveva deciso di vivere (cosa che poi si rifletteva nella scrittura); lontano dal conformismo e da ciò che si riteneva socialmente accettabile.

Non fu l’unico a sperimentare questo tipo di disagio sociale, molti artisti del tempo lo espressero con forza e tenacia, tra cui un amico di Wilde: l’illustratore Aubrey Vincent Beardsley.

Illustrare Wilde: Aubrey Beardsley

Tutt’ora poco conosciuto o quasi sconosciuto, Beardsley con le sue opere grottesche, bizzarre, satiriche e volutamente provocatorie sconvolse l’élite ed i benpensanti dell’epoca vittoriana. I suoi disegni a china di chiara ispirazione giapponese venivano realizzati tramite la tecnica del black blot, gocce d’inchiostro posate a caduta sul foglio bianco e stese con il pennello per delineare le parti figurative bianche.

Fu lui ad illustrare il Salomé di Oscar Wilde, anche se l’autore avrebbe preferito a lui un altro pittore perché temeva che la sua opera venisse sovrastata dalle tavole dell’amico. E così fu, i disegni di Beardsley colpirono il segno, alcuni scandalizzarono talmente tanto coloro che li videro che l’autore fu costretto a sostituirli.

A causa di Salomé il rapporto tra i due si incrinò. Beardsley iniziò a pubblicare caricature dello scrittore, mentre Wilde se ne andava in giro per tutta Londra come un Pippo Baudo dei giorni nostri esclamando “l’ho inventato io Aubrey Beardsley!”.

Non ci furono quasi più contatti tra due, l’unica occasione fu la prima de “L’importanza di chiamarsi Ernesto” alla quale Beardsley partecipò, ma il destino alle volte è crudele e la loro fine fu simultanea.

Nel 1895 Wilde fu processato e condannato per sodomia e Aubrey Beardsley, a causa delle tavole illustrate per Salomé, fu formalmente associato ai “crimini” commessi dallo scrittore. Ciò costituì la fine della sua carriera. Morì tre anni dopo di tubercolosi, in Francia, a soli 25 anni.

Come Wilde, anche Aubrey Beardsley visse da rockstar.

Una vita che segnò ogni solco del suo breve tempo e influenzò le generazioni future.

C’è chi direbbe:
“è il potere dell’arte bellezza!”

Illustrare Wilde: Aubrey Beardsley

Illustrare Wilde: Aubrey Beardsley

Illustrare Wilde: Aubrey Beardsley

Illustrare Wilde: Aubrey Beardsley

Immagini via: Wikimedia Commons

 

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Sara Cartelli

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Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.

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