
Culture. Eat it
9 Aprile 2020
storie
Trentatré giorni per ascoltarsi e capire che. Diario di bordo dalla quarantena.
Dica trentatré. Trentatré.
Trentatreesimo giorno di quarantena.
I pensieri si rincorrono, nuotano, esplodono. La testa si fa pesante. Il vuoto cosmico si scontra con un vulcano in eruzione. Passare dall’una all’altra fase è semplice e nemmeno troppo faticoso.
Trentatré giorni per ascoltarsi.
Se ti ascolti per trentatré giorni alla fine giungi a delle conclusioni, non necessariamente giuste.
Ad esempio che guardarsi dentro, con buona pace di chi ti invita a farlo, è molto faticoso e pure doloroso.
Che esistono situazioni in cui siamo inermi, aspetti della nostra vita che non possiamo cambiare, dolori con cui dobbiamo convivere. “Se vuoi puoi” non vale per tutti e non vale sempre. Chi afferma il contrario mente, o vuole venderti qualcosa.
Che ci si può amare da centimetri, metri o kilometri di distanza ma chi ha qualcuno da poter abbracciare è molto fortunato.
Che i problemi di ieri sono i problemi di oggi e saranno probabilmente quelli di domani. O forse domani, avremo altri problemi a cui pensare.
Che non siamo solo numeri e la statistica è di sua natura fallace.
Che non esiste un “tempo da sfruttare”, ma un tempo da vivere e ognuno può impiegarlo come meglio crede. Che non fare assolutamente nulla può essere liberatorio. Che tutta la comunicazione giocata sul “sfrutta questo tempo”, “impiega al meglio questo tempo” è malsana o probabilmente concepita da chi, questo tempo, non lo ha capito ancora.
Che ergersi a paladini della giustizia non ci rende automaticamente delle brave persone.
Che non è poi così complicato esercitare l’empatia, basterebbe semplicemente farsi qualche domanda in più.
Che non riesco proprio a spiegarmi tutte queste sponsorizzate per la ginnastica facciale, spuntate come funghi negli ultimi giorni. Che però fanno un sacco ridere.
Che si può ridere di niente.
Che riuscire a piangere, in un momento così, è assai faticoso.
Che nell’eterna faida fra atei e credenti, nessuno può ritenersi depositario della verità, dunque l’unica cosa opportuna sarebbe rispettarsi.
Che non sempre si possono depennare le persone tossiche dalla propria vita come si fa con i follow su Instagram. Ci sono persone che hanno bisogno di te, anche se tu non hai bisogno di loro.
Che le parole hanno influenze psicologiche e questa no, non è una guerra.
Che la musica è sempre un’ottima compagna e pure una formidabile maestra. Che dovremmo prenderci la briga di leggere più spesso i testi delle canzoni.
Che guardare i video dei concerti su YouTube non è affatto così terribile, in mancanza d’altro.
Che le dirette di Jo Squillo possono incredibilmente svoltati l’umore della giornata.
Che scannarsi via social, in questo periodo qua, è dannoso ancorché inutile. Che “la gentilezza è rivoluzionaria” è una verità.
Che dire le parolacce è liberatorio. Cazzarola.
Che è un tuo diritto inalienabile essere in disaccordo anche parzialmente con quello che ho appena scritto.
Che le parole poi a un certo punto arrivano e devi trovare un posto in cui metterle e io ho scelto questo posto qua.
Che fuori, nonostante tutto, è meravigliosa primavera.
Che domani non saremo forse migliori o peggiori di quel che siamo oggi, ma verosimilmente diversi.
Photos: Sara Cartelli
Autore

biografia:
Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.