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4 Ottobre 2017

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Tu sei felicità

di Sara Cartelli

Mi capita spesso di iniziare a ridere così, senza un motivo apparente.
È quello che dai più viene definito come ridere sotto ai baffi.
Non sono sguaiata, sorrido.
Sorrido spesso e non lo so se sono, come direbbe mia madre, “sciocca” o, più semplicemente, felice.

Non so se una risata basti a fare la felicità. Più che altro, non so che faccia abbia la felicità. È un po’ come Dio, tutti credono di conoscerlo ma nessuno l’ha mai visto. E mi spaventa il fatto che un giorno, Leone, mio figlio, possa chiedermi:

mamma cos’è la felicità?

Mi spaventa non sapere cosa rispondere. Preferirei mille volte, e non sto scherzando, che mi chiedesse come nascono i bambini perché in quel caso dovrei solo raccontargli la verità.
Forse so cos’è l’amore ma non la felicità. Può darsi. Forse l’amore fa la felicità.

Ciò significa che la felicità dipende da qualcosa o qualcuno. Come direbbe un mio amico: terribile.
Sì, è terribile pensare che la propria felicità dipenda da una persona, un oggetto, un viaggio, un gesto.
Perché se è vero, se è proprio vero che la felicità dipende da altro, allora significa che non potremo mai essere felici da soli.

Probabilmente non sono stata educata alla felicità. Non lo so, ci sto semplicemente ragionando, però è vero che la vita fa di tutto per metterti i bastoni tra le ruote, sin da quando sei piccolo.

Avrò avuto circa 7, 8 anni, era il giorno del catechismo e indossavo una salopette colorata che mi piaceva da morire. Scesi dalla macchina di mia madre, m’incamminai verso le mie “amiche” e, da lontano, mi accorsi che mi stavano guardando parlandosi all’orecchio e ridacchiando. Mi stavano prendendo in giro per come ero vestita, per quella salopette gialla e blu che adoravo. Per la prima volta in vita mia mi sentii inadeguata. Piansi fino a sera, trattenendo le lacrime durante l’ora di catechismo e il giorno dopo andai a scuola facendo finta di nulla.

La mia felicità di bambina era semplicemente essere accettata.
Ma non era felicità perché anche se loro, come me, facevano finta di nulla, io non stavo bene.
Non capivo.
Non capivo cosa non andasse in me e in quella dannata salopette.

Qualche anno più tardi, quelle stesse persone riempirono i muri del mio paese con il mio nome e cognome, affiancandolo all’epiteto “troia”. Non avevo fatto nulla, avevo 12 anni e non sapevo neanche lontanamente cosa fosse l’amore, figuriamoci il sesso.
Non ci parlammo più.

Non voglio raccontarvi gli strascichi di ciò che accadde, non è questo il luogo giusto.
Quella fu la prima cicatrice che apposi sul cuore.
Avevo fatto di tutto per essere accettata e, alla fine, non era servito a nulla.

Gli anni seguenti continuai a sbagliare inseguendo amori, amicizie, lavori, cercando di compiacere rinnegando me stessa, la mia identità. Ho sbagliato e continuo a farlo.

Sbaglio perché in questo modo mi impedisco di essere felice.
È un clamoroso autogol. È come gareggiare facendo di tutto per perdere.

Forse adesso lo so.

Che cos’è la felicità per me?
Accettazione.

La felicità è accettarci per ciò che siamo, contro tutto, nonostante tutto, nonostante noi stessi. La sessualità, la razza, il colore di capelli, il nostro stile, le nostre passioni: sono parte della nostra personalità, sono la nostra anima.

Non possiamo e non dobbiamo piacere a tutti, certamente, ma nessuno ha il diritto di farci sentire “sbagliati di essere noi”.
Siamo nati diversi per mille motivi e la diversità, l’ho detto tante volte, è la vera ricchezza di questo mondo.

Se ho imparato qualcosa in questi trent’anni è che compiacere gli altri conduce solo al buio, alla depressione, all’isolamento.

Vuoi sapere dove si trova la felicità?

Davanti allo specchio.
Forse non la riconosci perché è una cosa semplice.
Guardati, tu sei felicità.

 

Scegli di essere felice.

tu sei felicità

Graphic design: Silvia Blazina
© The Eat Culture

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Autore

Sara Cartelli

Cogito Ergo Sum

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Sara Cartelli

biografia:

Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.

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