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Bob Marley Redemption song storia di una canzone

Culture. Eat it

18 Novembre 2020

leggi come suona

Andrà tutto bene? Una canzone per riscoprire il senso di comunità: Redemption Song di Bob Marley

di Sara Cartelli

È il 1980. Dall’altra sponda dell’oceano, in Giamaica, si possono sentire il suono di una chitarra acustica e una voce pronunciare:

Emancipate yourself from mental slavery
None but ourselves can free our minds

Emancipatevi dalla schiavitù mentale
Nessuno, tranne noi stessi, può liberare la nostra mente

Sono parole riprese dal discorso di un sindacalista e attivista per i diritti civili giamaicano, Marcus Garvey, che nei primi anni del XX secolo si batté per migliorare le condizioni disumane in cui venivano trattati gli afroamericani negli Stati Uniti. Garvey, in Giamaica, era considerato una sorta di profeta perché aveva predetto l’incoronazione in Africa di un re nero. Profezia avveratasi in Etiopia nel 1930, che diede vita al rastafarianesimo.

A costruire una delle canzoni più note della sua carriera su questa affermazione c’è Bob Marley. È il 1980 dicevamo e Marley è stanco e malato, morirà l’anno successivo a 36 anni, ma ha ancora molte cose da dire e un album da completare assieme ai The Wailers, Uprising, che uscirà proprio quell’estate.

Redemption song è l’ultima canzone della tracklist, la decima, e anche il suo ultimo singolo. Fortemente influenzata dal dilagare del folk negli Stati Uniti, è lontanissima dal genere reggae nel suono ma non nel contenuto. Altri cantautori, negli stessi anni, dentro e fuori dalla Giamaica avevano introdotto il problema della “schiavitù mentale” nei loro testi.

Gli avi di Bob Marley erano schiavi, donne e uomini privati della naturale condizione di esseri umani e ridotti a meri prodotti di scambio. E lui questo lo sapeva, come sapeva che la musica e le canzoni gli avevano permesso di essere libero. Ma sapeva che esisteva anche un altro tipo di schiavitù, forse più subdola, che è quella di chi ti fa credere di essere libero ingabbiando la tua mente. Una condizione che può appartenere a tutti, indipendentemente dalla provenienza o dalla razza.

Un messaggio universale scritto con detonante semplicità, che continua a essere vivo e presente, ieri come oggi. Questo è Redemption Song. Oltre il tempo, i generi, le mode, oltre le generazioni, nella nostra testa c’è sempre quel ritornello che fa:

Won’t you help to sing
These songs of freedom?
‘Cause all I ever have
Redemption songs
Redemption songs

Canti di libertà e redenzione. Canzoni per dire che le possibilità di riscatto nella vita esistono. Che il potere, il male, la distruttività non definiscono le nostre esistenze. Che sì, ci sono cose che non possiamo cambiare (ora lo sappiamo molto bene dato che ci troviamo nel mezzo di una pandemia mondiale), ma dentro a questa condizione, dentro a questa sofferenza, possiamo trovare la luce.

Anche nelle canzoni che sono tutto ciò che Bob Marley ha avuto.

Quando ascoltiamo una canzone non siamo più individui singoli perché, nell’esatto momento in cui schiacciamo il tasto play, prendiamo parte a un dialogo con l’autore. Il grande merito delle parole in musica sta in larga parte lì, nella capacità di farci sentire dei frammenti che compongono un tutto. Durante i concerti ciò è evidente. Possiamo essere 100, 1.000 o 10.000, il risultato non cambia. Siamo persone, un’addizione di tanti uno che si sentono rappresentati, accolti, abbracciati, ascoltati. Quell’addizione è un esempio meraviglioso di ciò che chiamiamo comunità.

Oggi più che mai è importantissimo sapere che siamo parte di qualcosa.
Perché possiamo uscire da questo periodo buio solo insieme, fuggendo dall’individualismo, ricordandoci che siamo degli uno in mezzo a tantissimi altri uno.

“Won’t you help to sing these songs of freedom?” Bob Marley non a caso non sta affermando un concetto, pone una domanda, invita, tende un braccio.

Quello che Redemption Song comunica, rispetto ai molteplici sottotesti possibili, è questo ed è cruciale: non siete soli, siamo insieme. Per questo, da quarant’anni, tantissime persone nel mondo ascoltano questa canzone per affrontare i momenti bui, difficili e la solitudine che questi comportano.

Oggi vorrei invitarvi non solo ad ascoltare, ma anche a guardare questa canzone. A vedere “quello che la musica può fare” come direbbe Max Gazzè. Ciò che un uomo, Bob Marley, è riuscito a donare al mondo in un momento di estrema sofferenza non solo fisica, in cui ha dovuto confrontarsi e accettare la sua mortalità, come ammesso da sua moglie Rita.

Ha trasmesso un messaggio pieno di vita, con dolcezza e calore. Un messaggio che ancora oggi risuona in tutto il mondo, avvolgendo le persone in un abbraccio sincero.
E adesso è proprio della vita, proprio di quell’abbraccio, che abbiamo un sacco bisogno.

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Autore

Sara Cartelli

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Sara Cartelli

biografia:

Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.

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