Culture. Eat it
12 Giugno 2019
E ora viaggi ridi vivi o sei perduta
col tuo ordine discreto dentro il cuore
ma dove dov’è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore.
Le canzoni di per sé sono dei mezzi di trasporto eccezionali quando si parla di viaggiare. Ma c’è un artista, a mio parere, che ha saputo trasmettere ogni aspetto, ogni immagine dello spirito del viaggio e quell’artista è Fabrizio de André. Per molti motivi. Il primo è sicuramente il contenuto dei suoi testi capaci di evocare volti, luoghi o situazioni. Il secondo è lo stile di scrittura. C’è una sorta di semplicità che non sfocia mai nella banalità. I testi sono asciutti e mai altisonanti; Faber è un artista al servizio di chi lo sta ad ascoltare, non un uomo che smania per dimostrare al pubblico le sue incredibili capacità. Il terzo, ed ultimo, è la sua voce. Quella voce che riesce inspiegabilmente a non appesantire o rendere brutale la ferocia degli eventi, della vita.
Quella ferocia che fu a lui applicata quando venne rapito assieme alla moglie Dori Ghezzi in Sardegna nel 1979. Da quell’esperienza nacque, due anni più tardi, un album omonimo che dai più è conosciuto come L’Indiano. Nome dovuto all’opera in copertina, The Outlier, dell’artista statunitense Frederic Remington che raffigura un indiano a cavallo.
Perché questo è un album dedicato agli oppressi, ai rapiti, agli schiavi, agli autoctoni. Come gli Indiani, a cui è dedicata Fiume Sand Creek, una canzone che racconta tutta la brutalità umana compiuta da una milizia americana che nel 1864 uccise vigliaccamente oltre 175 nativi americani, tra cui donne e bambini. La narrazione poetica e struggente è affidata allo sguardo di un bambino scampato al massacro fingendosi morto.
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
Fu un generale di vent’anni
Occhi turchini e giacca uguale
Fu un generale di vent’anni
Figlio d’un temporale
La distanza tra oppressi e oppressori, invasi e invasori viene ripresa anche in Quello che non ho, una canzone che ci ricorda in chiave satirica che non sono il progresso, i soldi, o le camicie bianche a fare di una società una società civile.
Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.
Il viaggio di De André nell’Indiano scava anche nei sentimenti, quelli di Franziska, una donna innamorata di un bandito in fuga e che lei sa benissimo non rivedrà più. È una storia di dolore, di un amore infranto e impossibile, una storia che un giorno fu raccontata a Fabrizio da uno dei suoi rapitori e che gli rimase talmente impressa da scriverne un brano.
Filo filo del mio cuore che dagli occhi porti al mare
c’è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare.
Storia, sentimento e infine natura. Quella del Canto del Servo Pastore, una delle mie canzoni preferite, dedicata agli ultimi e ai soli che vivono senza crogiolarsi nel proprio dolore ma godendo della magnificenza e della bellezza del creato.
Dove fiorisce il rosmarino c’è una fontana scura
dove cammina il mio destino c’è un filo di paura
qual è la direzione nessuno me lo imparò
qual è il mio vero nome ancora non lo so
Quando la luna perde la lana e il passero la strada
quando ogni angelo è alla catena e ogni cane abbaia
prendi la tua tristezza in mano e soffiala sul fiume
vesti di foglie il tuo dolore e coprilo di piume.
Se volete viaggiare stando fermi, ne sono certa, il modo migliore è pescare una qualsiasi canzone di Faber. Le immagini verranno da sole e saranno nitidissime.
Photos: Sara Cartelli
Autore
biografia:
Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.