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Me and a gun. Tori Amos nel 1992 raccontava la violenza, nel 2020 dobbiamo imparare ad ascoltarla.

Culture. Eat it

26 Novembre 2020

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Era ieri. Nel 1992 Tori Amos raccontava la violenza in Me and a Gun. Nel 2020 dobbiamo imparare ad ascoltarla.

di Sara Cartelli

Nel 1984, a 21 anni, Tori Amos venne minacciata con un coltello, fatta salire su un’auto e violentata da un uomo che l’aveva appena vista esibirsi durante un concerto. Quell’uomo non solo la stuprò, non era abbastanza, la torturò anche psicologicamente minacciandola di farla a pezzi. Lei riuscì a scappare e salvarsi perché lui uscì da quell’auto per comprare della droga.

Otto anni più tardi, nel 1992, trovò la forza di raccontare l’accaduto nel brano Me and a Gun, contenuto nell’album Little Earthquakes, che venne censurato da radio e televisioni perché giudicato troppo forte, troppo ingombrante. Il posto per il dolore, che siano gli anni ’90 o il 2020, è sempre relegato in uno spazio chiuso e segreto della nostra anima. Come se non esistesse una piccola fessura da cui farlo passare. Mi direte che da che mondo è mondo esistono le pagine di cronaca. È vero, ma la cronaca relativizza, rende gli eventi distanti allontanandoli da noi. Leggiamo i giornali e gli articoli delle testate tramite i social network, ascoltiamo i telegiornali e la sensazione è che tutto, per quanto brutale sia, non ci tocchi. “Non è successo qui”, “non può succedere a me” pensiamo. È tranquillizzante.

La sofferenza di Tori Amos in Me and a Gun non lo è. È palpabile. La puoi toccare e vivere attraverso il suo racconto. Una voce, solo la sua voce, che riempie il vuoto strumentale con incredibile dolcezza e atroce verità. La verità di chi ha deciso di aprire quella fessura, raccontando non solo cos’ha passato, ma anche i suoi pensieri, com’era vestita, il suo rapporto con la fede.

It was me and a gun
And a man on my back
And I sang, “Holy holy”
As he buttoned down his pants
You can laugh, it’s kind of funny
The things you think at times like these
Like I haven’t seen Barbados
So I must get out of this
Yes, I wore a slinky red thing
Does that mean I should spread
For you, your friends
Father, Mister Ed?

Eravamo io e una pistola
E un uomo sulla mia schiena
E cantavo “santo santo”
Mentre lui si sbottonava i pantaloni
Puoi ridere, sono piuttosto divertenti
Le cose che pensi in momenti come questi
Tipo che non ho mai visto le Barbados
Perciò devo uscire da tutto questo
Sì, indossavo una cosa rossa e aderente
Significa che dovrei aprirmi
Per te, i tuoi amici
Padre, Mister Ed?

E poi:

And I know what this means
Me and Jesus a few years back
Used to hang and he said
“It’s your choice, babe, just remember
I don’t think you’ll be back
In three days time, so you choose well”

E so cosa significa
Io e Gesù qualche anno fa
Ci frequentavamo e lui diceva
“È una tua scelta, piccola, ricordati solo
che non credo tornerai
tra tre giorni, dunque scegli bene”

Ascoltandola non puoi non sentirti straziato, lacerato e grato alla vita.
Perché oltre al dolore c’è anche gratitudine in questa canzone, quella di una donna che è scampata alla morte e ha deciso di celebrare un’esistenza, la sua.

Ieri era la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Era ieri, ma dovrebbe essere sempre. Anche oggi, anche domani, anche tra un mese.
Perché il 1992 di Tori Amos è il 2020 di tantissime donne e perché il 2030 non dovrebbe esserlo.
Perché tutte le voci che raccontano la violenza (e di forme di violenza ne esistono moltissime) non dovrebbero mai essere coperte, censurate, svilite o banalizzate.
Per fare in modo di arrivare diversi tra dieci anni, a quel 2030, dobbiamo compiere dei piccoli passi ogni giorno, tutti. Che siate donne o uomini, amici, amanti o familiari, abbiate cura delle donne intorno a voi. 1 su 3 è stata o è ora vittima di violenza. Quella donna non è solo un’idea tra le pagine di un giornale, quella donna è vicina a voi. Guardatela bene e scegliete di ascoltarla, senza pregiudizi.

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Autore

Sara Cartelli

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Sara Cartelli

biografia:

Copywriter, folletto tuttofare e mamma con una passione smisurata per la fotografia. La scrittura è una medicina che le permette di esprimere la propria personalità e far emergere la sua vera voce. Meglio di uno psicanalista. Alla perenne ricerca di una strada da seguire, al momento, preferisce perdersi.

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